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Partito del .55

In alcuni momenti della storia, o più semplicemente della vita professionale o privata, si verificano eventi con un impatto talmente elevato da lasciare dietro di sé un’eredità. Ad ogni momento di crisi, di “ribasso”, segue sempre un assestamento ed un naturale ed innato tentativo di ritorno alla normalità. Molto spesso però la nuova normalità acquisita assomiglia ben poco alla precedente e se l’evento è sufficientemente lento non ci si rende neanche conto della differenza tra il prima ed il dopo.
Quando, al contrario, l’evento è repentino ed il cambiamento conseguente deve essere altrettanto rapido, è molto più facile rendersi conto delle differenze tra vecchia normalità e nuova normalità.
Il 2020 è stato maestro in quanto a rapidità di cambiamenti, e sorvolando per una volta sui contraccolpi peggiori di questa crisi, la domanda è:
“Se deve essere un cambiamento forzato e la nuova normalità sarà comunque diversa dalla vecchia normalità, perché non cercare di renderla anche migliore oltre che diversa?”
Nell’arco di poche settimane, durante la primavera, milioni di persone si sono ritrovate a sperimentare un contesto mai provato prima: la commistione della bolla professionale con la bolla privata. Per chi in precedenza non aveva mai sperimentato lavoro da casa, lavoro agile, lavoro per obiettivi, sembrava il paese dei balocchi:
– Riunioni in pigiama a videocamera spenta
– Lavoro al PC col gatto in grembo
– Nessun capo “seduto sulla spalla” a controllare ogni tasto pigiato
– Niente più code nel traffico
– ecc..
Ad esclusione del tempo risparmiato in inutili ingorghi in tangenziale, tutti gli altri presunti benefici si sono rivelati effimeri per non dire controproducenti.
Col passare delle settimane sono emersi tutti i lati negativi di un cambio così profondo: la perdita di buona parte della comunicazione non verbale, il tempo per consolidare relazioni con conversazioni casuali e rilassate, il capire che un figlio che strilla in sottofondo non è il massimo durante un meeting importante. Infine si è resa evidente una tendenza tanto pericolosa quanto errata:
Il tempo speso in smart working, o in lavoro remoto, ha valore solo se è pieno. Solo se per ogni singolo momento della giornata (e oltre) c’è un appuntamento fissato.
Niente di più sbagliato!
In un meccanismo perverso di illusione del controllo, il poter dimostrare di essere impegnati in un avvenimento in cui sono coinvolti anche altri “testimoni”, è diventato il nuovo “cartellino timbrato”.
Sono perciò diventate frequenti scene ormai prevedibili:
– “Scusate per il ritardo ma la call precedente è andata lunga”
– “Bello, bello, concetto molto interessante ma lo dobbiamo concludere la prossima volta perché tra 1 minuto inizia un altra videoconf”
– “..zzo! Ah ecco OK ora funziona, scusate ma ero mutato”
Tralasciando gli innumerevoli “stupri” lessicali e gli inglesismi superflui che si sono moltiplicati in questi mesi, le risposte e le considerazioni corrette per gli esempi precedenti sarebbero nell’ordine:
– “è andata lunga perché chi l’ha organizzata non ha previsto correttamente il tempo necessario oppure perché siete stati poco efficaci nel discutere i punti in agenda? C’era un’agenda?”
– “Se ritieni il concetto interessante, e la prossima volta ci impiegheremo del tempo per riprendere il filo del discorso, quand’è che pensi di poter ragionare in autonomia e a mente fredda su questo concetto?”
– “Si confermo, sei mutato. Ti sei trasformato da professionista a saltimbanco”
Ma quindi cos’è il Partito del .55?
- è il tentativo di rendere anche migliore un cambiamento inevitabile
- è ad adesione libera e a diffusione incoraggiata, non ci sono tessere o quote da pagare
- è la buona abitudine per migliorare la giornata a tutte le persone con un’agenda fitta
Si ma in concreto cos’è?
Aderendo ideologicamente al Partito del .55 ci si assume l’impegno, per tutte le riunioni che si organizzano (conf, call, confcall, videocall, videoconf, webconf, videocallwebconf, e qualsiasi altra diabolica combinazione possibile) a fissare l’orario di termine alle .55 anziché all’ora esatta.
5 minuti possono sembrare pochi per staccare ma in un susseguirsi di appuntamenti lungo la giornata in quei 5 minuti ci può stare un caffè, lo sgranchirsi le gambe, una sigaretta, altre “attività non delegabili a terzi”, ritirare il pacco che il corriere ha lanciato in giardino…
Per essere efficace dovrà essere un’abitudine adottata dal maggior numero possibile di persone (un po’ come Immuni…) ma con un passo alla volta può essere un modo semplice per rendere migliore un cambiamento inevitabile.
A proposito, sono le 10.55, ora mi muto e stacco!